Evitare l’aggressività è un obbiettivo sovraordinato, al disopra della verità, al di sopra di molti bisogni, quasi tutti, fuorché quello di essere al sicuro, al di sopra del benessere immediato e della logica lineare: potresti non capire la manovra, ma, se guardi bene, quella creatura sta cercando di evitare screzi, cattivi pensieri, discussioni, fraintendimenti.E, per non avere fraintendimenti, creare una non verità vicina al vero più digeribile e accettabile che si può. Ammansire l’altro. Sedurre, compiacere,tenere buono l’altro, schivare le discussioni, far sentire ognuno l’unico della tua vita, indispensabile, al sicuro da confronti. Non ci sono confronti: egli è l’Unico. Salvo duelli per l’ottenimento dell’unicità, quando qualcuno si rende conto che ci sono competitori cui è stato promessolo stesso cielo.

La salvezza è nella pace. La pace è garantita dall’assenza di frizione, di disaccordo, dall’identità dei bisogni. Per ottenere la pace,rinunciare alle opinioni, al confronto e adattare i bisogni a quelli dell’altro o rinunciarvi.

E tutto questo in ragione di che?

In ragione della tua stessa aggressività che potrebbe fare strage, che ferirebbe, che ucciderebbe perfino, con tranquillità, liberata come un cane a tre teste.

È per esorcizzare la mia violenza, che evito diplomaticamente ogni confronto, che non litigo nemmeno tirata per i capelli, che rinuncio a me.Tutto, tutto, ma non l’aggressività.

Questo nido di vespe, questo male sorprendente, incontrollabile,che temo mi sfuggirebbe di mano come una miccia vicino a un deposito di dinamite.

Ma che mi sono messa in testa? Non sono mica l’Orlanda Furiosa.

Un passero incazzato, scarruffato, buffo, ecco cosa sono. Altro che alabarde.

Più che l’aggressività in sé, l’attesa tremebonda dell’eventuale aggressività.

Anna Segre

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