Tutto istantaneamente. La statua di Francesco Giuseppe ha la neve nera sotto, tu dici ‘peté dodo’ indicandola, tua madre ti strattona, perché oggi non ci si può fermare al Valentino, troppo freddo, zia mima ha fatto i gnocchi con la fontina, rumore di parquet, non credo nei rituali, non credo nei pizzi sul poggiatesta delle poltrone Frau, non credo nelle posate d’argento.

La collezione verde adelphy con gli autori americani vicino alla costa fucsia della famiglia moskat sento odore di carta forse di polvere, dormono sulla collina, dormono dormono, la vestaglia leopardata acrilica impregnata di fumo con la quale nonna Emma va al bagno e poi fa il caffè. 

Ti faccio il solletico, ti lancio per aria, ti inseguo sulla spiaggia, ti butto in acqua, ti canto una canzone, ti imbocco, ti metto sul water di peso, mille chili di disperazione e rabbia, ti sorreggo mentre la mamma ti pulisce. Vorrei essere invisibile per non importunarti, vorrei le ali per sfuggirti, vorrei essere una gigantessa senza faccia per non farti vergognare.

Vestirsi per la cena dopo il mare, chinotto, viteltonné, il portatovagliolo, la mezza pensione. Non capite, perché accettate tutto, siete troppo buoni o cosa? Passa il treno dietro le persiane, il reggiseno rinforzato del costume a fiori la puzza di toscano la briscola le bocce. Tutto istantaneamente, al di fuori del tempo, al di sopra dell’ordine, la fotografia di Stalin sulla scatola dei biscotti a fiori viola, alto gradimento la cicoria ripassata l’aglio sminuzzato le mattonelle rosa e nere. Perché accettate le loro condizioni, perché tacete? Guardo la maniglia di ceramica che sta sulla porta, sento le voci. Non si entra. Non sei benvenuta. Papà sa, mamma bela. Dividere i piselli dalle lenticchie, dividere i piselli dalle lenticchie. La minicoda la minicoda tra tutti i gatti è molto di moda, ci sono lettere in carta velina nel mobile sotto il telefono e rivelano che le fidanzate di papà sono state minacciate dalla nonna e si scopre che ha pagato un grafologo per interpretare la scrittura della mamma, viene fuori che è una donna malata che farà figli malati, meglio che papà non la sposi, le canottiere di lana rosa, gli scialli da letto, il cassetto dei bottoni, ma lui l’ha sposata. 

Le cataratte dell’ira dell’uomo al volante, le fiamme dei suoi occhi sullo specchietto retrovisore, bambina legata con cinghie bianche su seggiolino blu, passami la borraccia del tea, il bip della macchina nella terapia intensiva del San Filippo Neri, bip, bip, bip, bip, bip, in fila per tre col resto di due, sei una stronza, gioia, l’uovo alla coque con la testa tagliata, le cornicette di Sabina Giusti, il fiocco bianco di Riccardo Viscardi, l’infermiere gigantesco davanti al cadavere aperto con l’aorta addominale fra pollice e indice, il piazzale davanti al Verano alle sei di mattina, la campana di vetro in cui moriva Silvya Plath, non hai mai mangiato zucchero filato?! 

Non ce la puoi fare a dimagrire, a laurearti in medicina, a comprare casa, sei pazza, non puoi essere psicoterapeuta, non hai nessuna competenza per parlare di campi di sterminio, non vali, non sei pagata, la chiave della felicità, la decappottabile di Ester, le scale di Positano, resina e piscio nella pineta di fregene, pippicalzelunghe vince!, bicicletta bianchi pieghevole verde, brionvega arancione sferico coi tasti in finto acciaio, la rassegna sulla Magnani, Francesco Francesco Francesco, i gattini annegati dal portiere Remo nel lavatoio delle cantine, la moglie Elvezia coi capelli viola che zoppica pulendo l’androne, tutto nello stesso istante, nello stesso punto, nella mia mente, la stazione centrale di milano gelida buia domani è Natale, abbiamo portato i regali, Natale un po’ sì un po’ no, non farlo notare che papà si arrabbia, odio il natale. La neve sulle catene dell’autobus, il fango gelido tra la strada e il marciapiede.

Sono bloccata, ma posso spostare gli oggetti col pensiero, uovo storto, storto sia, che la colpa non è mia, meglio tacere, meglio soprassedere, meglio non raccogliere, meglio evitare. Evitare è la prima regola. Nascondere in bella vista. Coprire la bugia di verità. Dammi un bacio che vuol dire inchìnati a me. Non mi hai salutato che vuol dire inchìnati a me. Raccontami qualcosa che vuol dire inchìnati a me. Qualsiasi cosa io dica o non dica sarà usata contro di me. 

La prontezza della parola cattiva il veleno della buonanotte il conto dei miei eventuali soldi invece che del mio eventuale impegno, sono 20 anni che non prendo un giorno di malattia, dice non mi freghi, ti sento tramare, tu trami dentro di te. Chiamami termite, chiamami ladra, chiamami puttana, ogni nome è perfetto, che pelle calda e sottile hai nell’inguine, ti annuso la nuca, ti lecco la fica, eccoti lo scettro della disapprovazione, eccoti in eredità la gastrite e lo scetticismo sui miei sentimenti. 

Tutto nello stesso istante, avvolto in un groviglio di pezzi, questo mucchio di odori flash propriocezioni neurotrasmettitori la rabbia il senso di ingiustizia la frustrazione il desiderio, la trascendenza del bisogno. 

Viene la mamma al mio letto quasi cieca a leggermi sandokan perché ho la mano bruciata, viene la mamma al mio letto per darmi la buonanotte, viene la mamma al mio letto per qualche istante,  non può rimanere, mi ama segretamente, forse, nono, ne sono sicura, il nostro amore illecito, cantiamo lavando i piatti, pieghiamo assieme le lenzuola, ci diamo la mano di nascosto. 

Finalmente fuori dalla facoltà di medicina, finalmente fuori dal gesso, finalmente fuori dalla tosse, kadosh kadosh kadosh, le piccatine al limone, l’indigestione per la provola divorata intera, il bob che salta sul ghiaccio direttamente nel burrone, l’interrogazione di epica, le incursioni nella marrana in fondo a casale ghella, pane e sugo, il bistrot tra i pini a bardonecchia. Potrei anche non pensarlo, il tutto istantaneo che mi vive dentro, l’alito di fumo e alcol della nonna Emma, i capelli bianchi nelle spazzole delle zie, le fotografie cartonate, la vetrinetta verde coi ventagli tarmati. Potrebbe stare immoto, oscurato da un’urgenza pratica, da un dovere imprescindibile, o stare come un organo nel mio corpo, io incosciente della sua attività e funzione. 

Spirito aspro, spirito dolce, la parola proparossitona, canto a memoria de andré guccini lolli cantacronache intillimani, vado sul prato di sant’orso con la chitarra, suono alla messibà, suono girando per il mahané, dada è buona dada è buona dada è buona saiiiiiii, ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontare, così solita e banale come tanteeee, alla stazione c’erano tutti con gli occhi rossi e il cappello in manoooo, suono il flauto davanti a papà seduto in poltrona con gli occhi chiusi. Le vasche a stile libero, silenzio liquido, uno due tre quattro respiro, uno due tre quattro respiro, non ho fame, questa non è fatica, ce la faccio, dice non lo vedo, non riesco a vederlo da quando è morto, la sua faccia, non la vedo, prendi lo zaino, hai messo il cioccolato? 

Siamo incastrate, sedute una dentro l’altra e ci teniamo per la testa, ti sento le tette, siamo nel nido di fiato, questo non è più il mio corpo, io sono un ‘siamo’. Scompaio nell’abbraccio, in questa presa che ci sfoca. 

La chiave nella toppa e ho subito paura, lo sguardo indagatore, i denti digrignati, il volto della rabbia che sfuma in quello del terrore. Possibile che nessuno di noi capisca il suo terrore? In quel ringhio sembrano solo odio e insofferenza, eppure indovino un orrore muto inverbalizzabile. Non c’è modo di non avere paura, ho paura e odio con la stessa forza viscerale, come ne andasse della mia vita. 

Nella mia mente non ci sono verbi al passato, verbi modali, non ci sono ipotetiche, quasi potrei dire che non ci sono incisi o che l’intera memoria è un inciso così proustianamente lungo, da non essere pronunciabile con una sola presa di fiato. Le considerazioni, ah!, impossibili. I giudizi: improponibili. Sarebbe idiota trarre conclusioni, perché ormai è chiaro che nemmeno la morte può concludere. Nulla, è la morte, rispetto a quello che è successo tra noi. Si interrompe solo la quotidiana conferma che non sfrutteremo la nostra opportunità per amarci. Questo è il mio grande sollievo. E spero che anche tu abbia smesso di soffrirne o di dibatterti tra il disprezzo per me e la colpa di non sopportarmi. 

Questa è la tela, che tesso e disfo: non faccio nodi, perché sono una Penelope la cui speranza non fletterà nemmeno con la morte.